Gli “appunti” sulla guerra in Gallia: il titolo e lo stile
Partiamo dal titolo: De bello Gallico, Bellum Gallicum, Commentarii de bello Gallico, Commentariorum belli Gallici libri VIII. Sui nostri libri e manuali li troviamo tutti ma qual è quello originario? È probabile che Cesare li abbia chiamati solo Commentarii, cioè “appunti”: la traduzione corretta che dovremmo trovare nelle versioni in italiano è dunque Appunti sulla guerra in Gallia.
Commentarius è infatti propriamente una raccolta di materiali preparatori alla narrazione storica vera e propria, una sorta di quaderno di appunti che dovevano servire da base per il contenuto (eventi, date, nomi di personaggi etc.) ma che dal punto di vista stilistico attendeva di essere rielaborato e perfezionato in una forma letteraria: tenete infatti presente che nella letteratura latina, come in quella greca, la storiografia era un genere alto e stilisticamente molto elaborato. È quindi chiaro che Cesare si è voluto distaccare dalla tradizione storiografica componendo un’opera dallo stile sobrio ed asciutto, stile di cui del resto tutti noi abbiamo fatto esperienza traducendo le famose “versioni di Cesare” immancabili nei libri di esercizi e grammatica latina!
E in effetti il motivo per cui Cesare è così gettonato nei versionari e adatto anche a chi compie i primi passi nello studio del latino è proprio questo: un lessico medio, una sintassi semplice, una costruzione della frase chiara e rigorosamente logica che è specchio della chiarezza e della lucidità del pensiero.
A proposito dei Commentarii, Cicerone nel Brutus scrive: Nudi sunt, recti et venusti, omni ornatu orationis tamquam veste detracta. […] Nihil est enim in historia pura et inlustri brevitate dulcius. “Nudi di ornamenti retorici come privi di veste”: la efficacissima similitudine usata dal grande oratore descrive bene il carattere della prosa cesariana, contraddistinta da una pura et inlustris brevitas additata come l’attributo più piacevole (dulcius) della scrittura storiografica.
I Commentarii: struttura e contenuto
Solo poche righe sulla composizione dell’opera che vi descrivo con chiarezza e in modo completo nel video di cui vedete il link in alto. Sette libri più un ottavo aggiunto da Irzio, luogotenente di Cesare, dopo la morte di quest’ultimo. L’argomento è naturalmente la campagna militare in Gallia dal 58 al 52, a partire dalla decisione di Cesare di muovere contro gli Elvezi: ricordate infatti, come vi spiego nella parte di storia romana Caio Giulio Cesare: la vita, che Cesare a quel tempo si trovava come proconsole in Gallia Cisalpina, cioè più o meno nell’attuale Lombardia, e anzi aveva tramato per farsi assegnare proprio quella provincia perché sperava di poterne ricavare occasioni di trionfo. E le trovò, sconfiggendo una dopo l’altra le varie popolazioni galliche che tentavano di resistergli.
Non si pensi però che il De bello Gallico si riduca ad una sterile sequela di racconti di battaglie: oltre al fascino della tecnica militare, l’opera si arricchisce anche di interessanti e coinvolgenti digressioni geografiche ed etnografiche, una delle quali proprio all’inizio dell’opera, il cui celeberrimo principio tutti noi abbiamo sicuramente incontrato in un qualche libro di versioni o di esercizi: Gallia est omnis divisa in partes tres …
Il VII libro, quindi l’ultimo scritto per mano di Cesare, termina con l’epico assedio alla città di Alesia contro gli Arverni di Vercingetorìge; l’VIII libro fu aggiunto da Irzio ed è praticamente un libro di raccordo fra il Bellum Gallicum ed il Bellum civile in quanto narra gli eventi fra il 51 ed il 50 prima dello scoppio della guerra civile nel 49.