Publio Terenzio Afro: il cartaginese amico dei potenti
Scorrendo le biografie degli autori latini ma anche, più in generale, dei grandi personaggi della Roma antica, si potrebbe pensare all’Urbe come a una sorta di equivalente dell’America degli anni Venti: ex-schiavi, persone umili, menti di talento provenienti dalle province o da paesi lontani hanno avuto la possibilità di assurgere alle più alte cariche politiche o agli allori delle lettere.
Così fu per Livio Andronìco, lo schiavo greco di Taranto, che ebbe addirittura l’onore di aver dato avvio alla storia della letteratura latina, e così fu per il giovanissimo cartaginese Publio Terenzio Afro che, giunto a Roma e preso sotto l’ala protettiva dei nobili esponenti del Circolo scipionico, divenne il più grande commediografo latino insieme a Plauto.
In verità, il suo teatro non piacque al pubblico come quello del sarsinate: divertente e indicativo è, a questo proposito, l’aneddoto riguardante le prime rappresentazioni dell’Hecyra (La suocera), che il regista non riuscì a portare a termine perché ogni volta il pubblico correva via richiamato da spettacoli di altro genere: lo leggiamo nel Prologo della commedia e ve lo racconto anch’io all’inizio della videolezione il cui link vedete in alto. A differenza dei Greci, infatti, i Romani al teatro non volevano riflettere su problematiche esistenziali assolute, quelle portate in scena da Terenzio, ma preferivano ridere (possibilmente, come abbiamo visto nel teatro di Plauto, di un riso crasso e spensierato); e con Terenzio, al massimo, si sorride – e spesso di un sorriso amaro.
Tuttavia, le sue commedie ebbero successo e continuarono ad essere rappresentate a lungo anche dopo la sua morte giungendo fino a noi, a cui piacciono assai per il loro messaggio straordinariamente moderno: “dramma borghese” sono state non a caso definite, e alcuni loro personaggi ricordano molto i protagonisti problematici e tormentati di Pirandello o Svevo.
▶️ Buon ascolto!