“Miti romani? Ma perché, i Romani avevano miti alla maniera dei Greci?!” è la domanda che (come ammette la stessa prefazione) ci si pone quasi automaticamente di fronte al titolo di questo libro. Miti sì, anche se non alla maniera dei Greci: semmai miti di origine e fondazione, legati al primissimo popolamento del Lazio e naturalmente alla leggendaria fondazione di Roma e ai suoi primi secoli.
Ecco allora che la lettura si trasforma in una piacevolissima avventura alla scoperta della storia (mitica) di Roma, dagli albori dell’era di Giano e dei Saturnia regna (come li avrebbe definiti Virgilio) all’arrivo di Enea, passando poi per l’età monarchica ed i primi tempi della res publica. Alla scoperta, dicevo, ma anche alla “riscoperta”: per molti tratti, infatti, la storia del Latium vetus e della Roma antica è un binario che corre parallelo a quello del mito e perciò, leggendo queste pagine, ritroviamo racconti e personaggi che hanno popolato la nostra immaginazione sin dagli studi elementari: dalla lupa al ratto delle Sabine, dai sette re a Orazio Coclite, da Enea e Turno a Cincinnato. Tutto, però, qui raccontato in una prospettiva unicamente mitica e non di critica storica.
Il risultato di questa impostazione è una lettura avvincente, quasi 400 pagine che si divorano avidamente e peraltro piene di sorprese che aprono orizzonti di conoscenza inaspettati, particolarmente apprezzati da chi vive a Roma e scopre per la prima volta una quantità di informazioni curiosissime su personaggi, luoghi ed eventi passati o attuali della propria città. Le etimologie, in particolare, sparse qua e là nel testo e senza mai risultare pedanti, sono una sorpresa continua.
L’elenco sarebbe lunghissimo ma solo per fare qualche esempio, ho scoperto: l’origine (mitica) dell’isola Tiberina e del verso Saturnio, l’etimologia del colle Gianicolo, quella del verbo “immolare”, della città di Alba Longa, del sostantivo “lupanare”, del mese di “maggio” (in cui sono nato!) e degli dèi “Penati”; ho scoperto che già i Romani celebravano a marzo una loro “festa della donna” (e perché)… Ma soprattutto si ha una spiegazione chiara del fondamento culturale del famigerato mos majorum e dunque dell’origine storico-culturale dei valori che per secoli avrebbero contraddistinto il buon civis Romanus: tutti abbiamo sempre studiato e sentito parlare di sobrietà, virilità, morigeratezza, castità femminile, pudicitia, fides, etc. ma quando e perché iniziano ad essere quasi “patrimonio genetico” e distintivo del “vero” romano? La comprensione di questo aspetto è un arricchimento e un ampliamento di orizzonte davvero importante verso la comprensione della quintessenza della civiltà romana, soprattutto nel momento in cui, nell’età dell’espansione nel Mediterraneo, si contrapporrà, anche fieramente con l’orgoglio di un Catone il Censore, a quella greca.