Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo.
La poesia che vi presento in questo video, Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo, è una lirica di grande potenza espressiva e di grande attualità: gli orrori e le sofferenze provocati dalla guerra ne costituiscono infatti l’ispirazione e ad essi si riferiscono le immagini dei suoi versi. Ascoltate la spiegazione, come sempre accompagnata dalle mie lavagnette e recitata dalla mia attrice preferita! Qui di seguito vi propongo alcuni approfondimenti sul testo.
La lirica all’interno della raccolta Giorno dopo giorno.
La poesia, composta nel 1945 dopo l’armistizio con gli angloamericani (“Resa di Caserta”, 29 aprile) con cui si poneva fine alla seconda guerra mondiale, fu pubblicata due anni dopo all’interno della raccolta Giorno dopo giorno come lirica di apertura, e ciò a testimoniare l’importanza che essa ebbe per l’Autore. Inoltre, ad ulteriore conferma di ciò, la circostanza che il secondo verso avrebbe dovuto costituire il titolo della raccolta che, nel progetto originario, doveva appunto chiamarsi “Con il piede straniero sopra il cuore”.
Cosa si intende per “produzione civile” di Quasimodo.
La raccolta e quindi la lirica fanno parte del “secondo tempo” della poesia di Quasimodo, il momento cioè della “poesia civile”. Così è stata definita dai critici la produzione quasimodiana a partire dal dopoguerra: messi da parte i modi dell’ermetismo, a cui l’Autore aveva inizialmente aderito, il poeta trova nelle recenti vicende storiche l’occasione per nuovi contenuti ed anche per un nuovo modo di poetare. Nuovi contenuti: una poesia impegnata il cui “canto” (verso 1) si leva sulle macerie lasciate dalla guerra. Nuovo stile: non più il culto a volte estetizzante della parola e le soluzioni astratte e cerebrali tipiche di certo ermetismo, ma uno stile più lineare ed immediatamente comprensibile, come appare evidente già da una prima lettura del testo di questa lirica.
Alle fronde dei salici: figure retoriche.
Ed ecco l’approfondimento sulle figure retoriche presenti nel testo, che vi ho promesso nel video.
La lirica si apre con una domanda retorica: E come potevamo noi cantare. Domanda retorica perché posta per stimolare una riflessione e non per ottenere una risposta, peraltro scontata (certo, dice il poeta fra le righe, non potevamo cantare in alcun modo).
Il verso 2 presenta, nella medesima immagine del piede straniero sopra il cuore, una metafora e una doppia sineddoche. Metafora, perché il piede straniero sul cuore sostituisce con meccanismo appunto metaforico il termine di paragone reale, cioè l’invasione straniera in territorio altrui; sineddoche perché il piede straniero è la “parte per il tutto” che sta ad indicare gli eserciti nemici (e, per l’esattezza, qui abbiamo anche il “singolare per il plurale”), così come il cuore è la “parte per il tutto” ad indicare il popolo invaso. Notate anche come i due elementi della sineddoche siano stati scelti in forte antitesi: a simboleggiare gli eserciti abbiamo infatti il piede che calpesta, mentre a significare il popolo invaso viene scelto il cuore, appunto in forte antitesi con il piede in quanto simbolo dell’animo calpestato e sofferente.
Ai versi 4-5, il lamento d’agnello costituisce un’analogia basata sul parallelismo fra il pianto dei fanciulli ed il belato degli agnelli, vittime sacrificali per eccellenza presso i popoli antichi. E’ stato anche notato come con il ricorso all’analogia, tecnica tipicamente ermetica, Quasimodo riutilizzi moduli della poetica precedente trasponendoli nei nuovi contenuti.
Tre enjambement (spezzatura a fine di verso di parti del discorso unitarie) interrompono sintagmi particolarmente espressivi: lamento//d’agnello; urlo nero//della madre; figlio//crocifisso.
L’urlo nero del v. 5 è una bellissima e potente sinestesia in quanto accostamento di termini appartenenti a campi sensoriali diversi: urlo (udito) e nero (vista). La forza di questa figura retorica sta proprio nel farci udire la voce di questa madre che, vorticando, precipita in un baratro nero di disperazione.
La metafora del triste vento chiude la lirica con un’immagine sconsolata.