A quale corrente letteraria appartiene Guido Cavalcanti lo potete leggere nella copertina della mia videolezione dedicata al grande poeta fiorentino: egli fu stilnovista e, almeno in un primo periodo, grande amico di Dante, che anzi nella Vita nova lo definisce il primo delli miei amici. Nell’immagine riporto la prima delle lavagnette del video in cui schematizzo alcuni punti della sua biografia.

Cavalcanti fu dunque uno Stilnovista: tuttavia, come ho spiegato anche nell’articolo su Guinizzelli, Cavalcanti, Dante a confronto: analogie e differenze, una delle particolarità del Dolce stil novo fu quella di NON essere una “scuola poetica” compatta, come lo fu ad es. La scuola siciliana: i suoi esponenti infatti, pur aderendo in generale ai medesimi principî di poetica, si fecero portavoce di una visione a volte diametralmente opposta dell’amore e della donna e quindi, di conseguenza, del fare poesia.
Ma in cosa consiste la particolarità della poesia di Guido Cavalcanti? Alcuni studiosi lo hanno definito “il poeta dell’amore amaro“: la sua caratteristica preminente sta infatti proprio in una concezione dolorosa dell’amore. A differenza di quanto rinveniamo negli altri due grandi stilnovisti Guinizzelli e Dante, per lui il sentimento amoroso è uno stato di sconvolgimento interiore, esso non viene sublimato e la donna non è tramite per Dio. L’amore è insomma una passione da evitare, e per questo il poeta si guadagnò l’accusa di epicureo: la teoria dell’amore come passione distruttiva è infatti tipica proprio della corrente filosofica dell’Epicureismo. Così viene anche rappresentato nella celebre novella del Decameron che lo vede protagonista (giornata sesta, novella IX): uomo solitario, sdegnoso, tutto chiuso nel suo intellettualismo.

Questa sua visione dell’amore e della vita trova naturalmente espressione nei suoi versi che presentano alcuni tratti tipici, come vi spiego diffusamente nel mio video.
La lirica a cui Cavalcanti affida l’illustrazione della sua poetica è la canzone Donna me prega, che infatti è ritenuta la canzone-manifesto di Cavalcanti speculare a quella di Guinizzelli Al cor gentil rempaira sempre amore.
Un’altra sua celebre lirica è il sonetto Noi sian le triste penne isbigotite, interamente costruito utilizzando la figura retorica tipicamente cavalcantiana della personificazione.
Vi rimando alla videolezione per un quadro chiaro ed approfondito di questo Autore. Buon ascolto!