Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno

Pin, il bambino cattivo

Il sentiero dei nidi di ragno è il primo romanzo di Italo Calvino e forse uno dei meno favolistici in confronto, per esempio, a quelli della trilogia I nostri antenati, benché già Cesare Pavese aveva notato in esso i germi di quel tono fiabesco che avrebbe contraddistinto la poetica matura di Calvino.

La trama di un classico di tale calibro non ha bisogno di ulteriori magri riassunti sul web (ce ne sono fin troppi) né tantomeno di umili “recensioni”: fra l’altro, nell’edizione di cui vedete l’immagine in copertina è presente a mo’ di prefazione la recensione che ne scrisse lo stesso Calvino molti anni dopo la pubblicazione.
Voglio perciò proporre la mia personale riflessione sul significato della parola cattivo, l’attributo che accompagna costantemente la figura del protagonista Pin.

In banda non può più tornare, ha fatto troppe cattiverie a tutti;
…gente da scherzarci insieme fino a sfogare quell’odio che ha contro di loro. Si sente spietato: li ferirà senza misericordia;
La gente buona ha sempre messo in imbarazzo Pin: non si sa mai come trattarli e si ha voglia di far loro dei dispetti per vedere come reagiscono.  

La psicologia di Pin è tanto complessa quanto prevedibile e comprensibile in un bambino vissuto in condizioni sociali di degrado: troppo piccolo ha iniziato ad assistere da un pertugio alle performances sessuali della sorella prostituta, troppo piccolo ha iniziato ad ascoltare i discorsi dei grandi sulla guerra, sulla Resistenza, sulle donne: la loro vita gli appare incomprensibile, “una storia di sangue e corpi nudi”.
Troppo presto il mondo torbido dei grandi si è spalancato su di lui come una fogna le cui acque fetide non potevano essere accolte e depurate da un animo infantile, provocando in lui una voglia d’uccidere aspra e ruvida, come la voglia di amore, un sapore sgradevole e eccitante come il fumo e il vino.

Dunque il romanzo, a parte lo sfondo storico (in realtà neanche troppo “sfondo”) delle bande armate durante gli anni della Resistenza, è interamente costruito sull’antitesi grandi / Pin: lui ha una linguaccia pronta e affilata, non risparmia nessuno, comprende molte cose (la scena che prelude all’incendio nel bosco è magistrale) e i grandi hanno paura di lui e di quello che potrebbe dire (e ne hanno ben donde! La “scena madre” è al cap. XI). Nella realtà, però, mentre dice cattiverie vorrebbe piangere e sogna il Grande Amico che, nella sua immaginazione di bambino, potrà essere solo quello che s’interessa dei nidi di ragni. Lo troverà, nelle ultime due pagine: la scena di Pin che si allontana nel bosco parlottando con lui mano nella mano è indimenticabile.

Ma insomma, bambino buono o bambino cattivo? In realtà i due attributi non si escludono a vicenda: il problema è che spesso confondiamo (e non solo parlando di bambini) il significato della parola “cattivo” con quello dell’aggettivo “malvagio”. Cattiveria e malvagità non sono affatto la stessa cosa.

Captivus era infatti il prigioniero, e captivus è il bambino prigioniero dei suoi impulsi incontrollabili che lo portano a compiere gesti e a dire parole senza che egli possa prevedere gli effetti che produce. O meglio, li prevede e li vuole, ma come spinto da una forza esogena. Questa la differenza tra il “cattivo” e il “malvagio”: costui calcola scientemente e con lucidità il male che sta per compiere, è sufficientemente lucido e consapevole per poterlo evitare, ma non vuole. Il cattivo arreca dolore al prossimo senza poterne fare a meno: “prigioniero” dei suoi istinti.

Insomma, il famoso “cattivo ma in fondo buono”. E comunque, detto fra noi… che si tratti di bambini o di adulti, ho sempre preferito i “buoni e in fondo buoni” 😉