“Prendere carta e penna”

Se volessimo sintetizzare la storia della scrittura sin dalle sue primissime origini, potremmo affermare che l’uomo ha scritto (e di conseguenza letto) praticamente su qualsiasi cosa. I nostri progenitori usavano la roccia (come testimoniano le iscrizioni rupestri), ma anche i ciottoli e sicuramente il legno. In seguito, con l’avanzare delle ere e il progredire delle tecniche, si è scritto sui mattoni, sul coccio, sul vetro, sul bronzo e sul ferro, su lamine d’oro e d’argento, su materiali di origine vegetale (papiro) ed animale (cuoio); e ancora su vari tipi di stoffa, sulla pergamena, sull’ardesia, sull’avorio… e infine sulla carta. E vogliamo dimenticare i tatuaggi sulla pelle?

Se dunque il mutamento anche radicale dei supporti della scrittura e della lettura fa parte del naturale evolversi delle cose, e se la storia dimostra che, vuoi per scelta vuoi per necessità, è lecito scrivere davvero su tutto, l’uso di tastiere digitali per scrivere e di schermi per leggere non dovrebbe rappresentare un problema: anzi, casomai qualcuno non fosse d’accordo, sarebbe fin troppo facile accusarlo di essere il solito “passatista”, contrario per principio e per pregiudizio a qualsiasi innovazione tecnologica.

Fra l’altro, parlando da insegnante, se così fosse potrebbero non sussistere valide motivazioni per negare la richiesta degli studenti di usare il tablet anziché il quaderno o di fare i compiti su un foglio word anziché scriverli su carta (richiesta di solito giustificata con l’osservazione che “è più pratico e veloce”), oppure di leggere il libro di narrativa in formato eBook o finanche di non acquistare il libro di testo cartaceo che “pesa troppo nello zaino”.

All’apparenza, il discorso non fa una piega.
In realtà, però, andando ad approfondire la questione, si scopre che scrivere e digitare non sono attività equivalenti, così come non lo sono lo sfogliare e lo scrollare su un tablet, con buona pace di chi vorrebbe sostenere che tanto il contenuto non cambia. Questo non è vero: il contenuto cambia, eccome.
Recenti studi condotti dalla University of Washington hanno dimostrato che “il complesso meccanismo che impegna le mani durante la scrittura stimola la nostra mente in modo più efficace di quello che compiamo per digitare su una tastiera: attiva più aree del nostro cervello, imprimendo ad un livello più profondo ciò che scriviamo. Di conseguenza, tratteniamo le informazioni più a lungo di quanto faremmo se le inserissimo in un’app. Al contrario, scrivere al computer può diventare un gesto meccanico, una sorta di autostrada priva di ostacoli” (anche grazie ai correttori ortografici). Scrivere a mano migliora la riflessione, “rafforzando il pensiero associativo e dandoci la possibilità di stabilire connessioni e di approdare a soluzioni ed intuizioni insolite”.

Più sottile la differenza fra scrivere su carta e scrivere su uno schermo (ad es. con la penna dell’Ipad). In questo caso, la questione esige la risposta alla seguente domanda: si pensa e si scrive allo stesso modo indipendentemente dal supporto della scrittura? In altre parole, la superficie su cui si scrive è indifferente alla scrittura e al pensiero?

In un suo saggio, il filosofo Roland Barthes risponde utilizzando una ardua ma brillante similitudine. Immaginiamo di camminare ora su un marciapiedi, ora su una spiaggia, ora nel fango: il tipo di suolo che scorre sotto i nostri passi condiziona l’andatura, la fatica, la celerità nel camminare; ciò, a sua volta, mette in moto meccanismi cerebrali ogni volta distinti. Ora, pur compiendo un’attività indubbiamente più nobile ed elevata, la mano che scrive non è diversa dai piedi che camminano: una certa sostanza è distesa sotto di essa e questo contatto della pelle e della materia, dello strumento e del supporto, non può essere indifferente ai nostri meccanismi cognitivi.

Scrivere è un’attività tattile. Il rigido o il morbido, la ruvidezza o la scorrevolezza, la maggiore o minore resistenza della materia a ricevere i segni, il colore stesso condizionano i movimenti della mano obbligandola a procedere più o meno lentamente, ad aggredire o a sfiorare. Questo, come tutti abbiamo sicuramente sperimentato di persona, influenza le forme della scrittura, che possono risultare morbide o assai spigolose, ma agisce anche sul pensiero: scrivere con carta e penna e scrivere su un’interfaccia digitale priva di consistenza non sono la stessa cosa. La possibilità di avvertire la consistenza della carta, di percepire la penna (anzi, un certo tipo di penna piuttosto che un altro) scorrere su una sostanza materica che oppone un certo tipo di resistenza, attiva un più profondo modo di pensare e di affrontare le informazioni.
Certo, come tutti possiamo sperimentare, a digitare “si fa prima”, ma il punto è esattamente questo: la scienza stessa dimostra che è proprio la maggiore lentezza che rende un certo tipo di scrittura più consapevole.
E in effetti anche questo articolo è stato scritto prima su carta, anzi, in brutta (sì, la famosa “brutta”!), corretto e riscritto più volte fino alla sua stesura definitiva, e solo allora ricopiato al computer per essere qui pubblicato.

Considerazioni del tutto simili si possono fare riguardo alla lettura, ma a questo proposito come non citare Catullo? Nel Carme I: la dedica a Cornelio, il grande poeta latino ha còlto con tale sensibilità il piacere sensitivo e, anzi, direi proprio sensuale, della lettura come attività non solo mentale ma anche percettiva: il gusto di avere tra le mani un libro ben fatto e dalla copertina levigata di fresco, il piacere di toccarlo, sfogliarlo, guardarlo, sentirne l’odore… Piaceri antichi ma in fondo noi esseri umani non siamo ancora fatti della stessa pasta?

Perciò – e mi rivolgo soprattutto ai giovani – non pensate che tutto ciò che è moderno, innovativo e tecnologico sia per forza migliore e non cadete nella trappola che il modo “più pratico e veloce” di fare qualcosa equivalga al modo “più utile ed efficace”; pensate con la vostra testa prima di decidere se seguire una moda o la novità tecnologica del momento, anziché aderirvi passivamente soltanto perché “lo fanno tutti”, e, come recita la nota espressione, “prendete carta e penna”.